DON'T LOOK UP (2021) - di Adam McKay
Quando un lucido Delirio fittizio mette a nudo una realtà scomoda e controversa

TRAMA: una cometa dalle dimensioni pari a quelle dell’Everest viene captata dalla studentessa di astronomia Kate (Jennifer Lawrence) e dal suo insegnante (DiCaprio). Con sgomento i due scoprono che la sua traiettoria è la terra e che l’impatto avverrà nel giro di 6 mesi con conseguenze altamente distruttive.
Assieme al collega-studioso Teddy tentano di dare l’allarme e organizzare delle contromisure, prima chiedendo udienza alla Casa Bianca e poi ad un rinomato programma televisivo, finendo solo per ottenere scettiche resistenze e scherno mediatico da ambo le parti.
Ma quando i potenti cominceranno a rendersi conto dell’effettiva gravità della situazione (più che altro per occultare dai media alcune bravate e scandali presidenziali), si verrà a scoprire che la suddetta cometa è composta da materiali preziosi, creando così ancor più caos, panico ed indecisioni sul da farsi: se abbatterla (o deviarne la traiettoria) o suddividerla in pezzi da recuperare prima che si schianti sulla terra.
COSE Che COSANO: A 6 anni dalla “Grande Scommessa” che gli fece vincere l’Oscar alla miglior sceneggiatura e dal bel “Vice”, il genialoide Adam McKay continua la sua evoluzione autoriale mischiando scottanti temi d’attualità con un’insospettata eleganza, audacia ed irriverenza satirica. Stavolta invece di ispirarsi a fatti realmente accaduti, il Nostro sceglie di dar vita ad un’opera più ambiziosa totalmente originale.
I bersagli scelti spaziano da un modello politico ipocrita, superficiale, interessato solo ai consensi e che aizza al populismo; passando per le smanie di spettacolarizzazione ed edulcorazione di certi servizi giornalistici; le facili gogne mediatiche dei social e il periodo convulso e divisivo che purtroppo stiamo vivendo a causa dello stramaledetto Covid-19. Veicolando il tutto tramite i personaggi e le volute estremizzazioni dei fatti che si susseguono nella storia raccontata.
Da una Presidentessa degli Stati Uniti (una Meryl Streep visibilmente divertita e volutamente odiosa) egoista ed opportunista, interessata a tutto fuorché al bene del Paese e alle problematiche; al suo ignorantissimo figlio/Capo del Gabinetto (al solito impagabile Jonah Hill) e al pensionato eroe di guerra nazionalista-reazionario (uno straordinario Ron Perlman) che verrà impiegato per un’operazione militare dichiaratamente ispirata ad “Armageddon” (d’altronde l’America avrà sempre bisogno di “eroi” ai quali dover guardare e prendere d’esempio). Passando per il fattore mediatico in un’epoca di post-verità incanalato dalla figura ammaliante quanto inquietante di Brie (una sempre perfetta Cate Blanchett), interessata al sensazionalismo, alla spettacolarizzazione, all’arrivismo e alla pura goliardia, non curante che le notizie che fa circolare secondo la sua visione possano non corrispondere alla veridicità dei fatti o che ciò che fa possa creare danni o problemi al prossimo.
Non le manda certo a dire all’informazione spacciata dai social che il più delle volte tendono a ridicolizzare ogni cosa, tirar fuori complottismi d’ogni sorta, alimentando il mal contento o ciò che più faccia sensazione, screditando esperti per dar voce ad altri personaggi dalle conoscenze discutibili.
Ça va sans dire: neppure i magnanti tecnologici, nella fattispecie il Peter Isherwell (un bravo Mark Rylance impomatato in versione Steve Jobs/Elon Musk), ci fanno una gran bella figura in quanto incapaci di ammettere i retroscena capitalisti del loro operato e i cui algoritmi li giustificano ad avere le risposte assolute a tutto (o quasi), sminuendo così i valori del libero arbitrio e il potere decisionale degli individui che all’ultimo potrebbero cambiare (anche di poco) delle sorti apparentemente prestabilite.
E finisce per non averne per nessuno, men che meno che per noi stessi. Mostrando un’umanità menefreghista facilmente divisibile e suscettibile, che in casi d’emergenza invece di trovare/studiare soluzioni, vie di mezzo, possibili alternative e ascoltare tutte le campane (dato che la verità non è mai solo bianca o nera), spreca energie a litigare all’infinito o a manifestare senza ottenere nulla di fatto/senza arrivare a dei risultati (perdendo così la validità delle proprie proteste), trovandosi all’ultimo senza più tempo per poter salvare sé stessi o preservare ciò che è importante.
Senza farsi mancare più di qualche denuncia ambientalista, di come purtroppo non lottiamo mai abbastanza per il mondo che ci ospita (se non per noi per le future generazioni figlie nostre che lo popoleranno un giorno e chi verrà dopo di loro), di ciò che ci offre, delle risorse che permettono la vita e delle altre creature che hanno diritto di popolarlo. Di come nonostante le catastrofi in qualche modo tornerà a riprendersi ciò che gli spetta, ad evolvere e sopravvivere. Però a discapito dell’umanità che forse non riuscirà a seguirne il progresso (e adeguarsi).
In mezzo a tutto questo caos si muovono i personaggi del Dr. Randall (un DiCaprio ottimo e piacevolmente sopra le righe) e Kate (bravissima e piacevolmente sbroccata Jennifer Lawrence). Il 1° sempre sull’orlo del nichilismo o di qualche esaurimento nervoso, indubbiamente motivato ma al quale basterà un minimo di successo ed attenzione per cedere ai lati oscuri di questa società che deplora e cerca di salvare. La 2^ per quanto scurrile e celatamente insicura è un’outsider brillante e competente che purtroppo fatica a far valere il proprio pensiero in un mondo disinteressato ad ascoltarla e a riconoscere la validità dei suoi ragionamenti.
A contornarli vi sono il Dr. Teddy di Rob Morgan, lo svalvolato Quentin di Timothée Chalamet e i gentili camei di Ariana Grande (che praticamente parodizza sé stessa), Michael Chikils e Matthew Perry.
A livello tecnico McKay gira il tutto con maestria e con un montaggio incalzante, dando respiro alle anime del racconto, dando risalto all’espressività e alla vena di pazzia dei personaggi (facendo risultare tutti gli attori naturali e a proprio agio). Ed è abbastanza probabile si sia visionato “Dr.Stranamore”, “1941 – Allarme a Hollywood” e “Quinto Potere” mentre scriveva una simile operazione. Il ritmo è a palla di fuoco, i dialoghi e le gag riescono con poco a smantellare pezzo-dopo-pezzo una delle nazioni più potenti e grottesche esistenti al mondo e le musiche di Nicholas Brittell [già compositore de “La Grande Scommessa”, “Vice”, “Moonlight”, “Battle of Sexes” e l’epico “The King”] danno quel brio in più che ci voleva.
Magari i temi che vuole affrontare sono troppi, forse alcune analisi ed invettive potrebbero non far piacere a tutti e ogni tanto il regista rischia di farsi prendere la mano, però sto “Don’t Look Up” è per certo uno dei titoli più intelligenti di questi ultimi tempi, fortificato da un’urgenza espressiva/contenutistica/sostanziale che sempre più difficilmente si trova.
Un film fatto d’idee, spunti, personaggi, scrittura e messa in scena, dove ogni risata che procura è seguita da vigorosi ceffoni in quanto pur essendo un prodotto di Fantasia dove tutto viene portato all’eccesso, è saldamente ancorato ad una realtà tragicamente attuale che non può essere ignorata o minimizzata.
Forse è per questo che in patria a livello critico sta ottenendo riscontri tanto misti. Forse Adam McKay è pure troppo intelligente per le major hollywoodiane, uno stile di vita e di pensiero american-style sempre più influente nel resto del mondo o per un pubblico sempre più abituato a serialità/sequel-izzazioni/live-action/rifacimenti, cinecomics (ALCUNI veramente Buoni e ALTRI No, Chiariamoci) e registi osannati più del dovuto. Magari non sarà il “Dr.Stranamore” del Nuovo Millennio (McKay non è il nuovo Kubrick né ha la pretesa di esserlo, così come non lo sono Nolan e Villeneuve, per quanto siano bravi) ma ci và dannatamente vicino.
VOTO: 9+ e giù il cappello! Un plauso anche al doppiaggio che annovera l’immancabile Pezzulli sul Leonardo, alle sempre perfette Valentina Favazza/Jennifer Lawrence, Emanuela Rossi/Cate Blanchette, Maria Pia Di Meo/Meryl Streep, e i divertenti contributi di Simone Crisari immancabile su Jonah Hill, Paolo Buglioni su Ron Perlman e Mino Caprio su Mark Rylance.
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