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INTRIGO INTERNAZIONALE (1959) di Alfred Hitchcock

Fra i più grandi lasciti artistici di un autore imprescindibile tra virtuosismi di scrittura, messa in scena e auto-ironia


TRAMONE: Roger Thornill è uno sprezzante agente pubblicitario newyorkese, un giorno viene scambiato per un agente segreto conosciuto come George Kaplan e rapito da un’organizzazione spionistica comandata da un certo Townsend che lo portano in una villa, loro base segreta. Riuscito a fuggire (dopo che questi l’avevano drogato per inscenare un mortale incidente di guida in stato d’ebbrezza) nessuno crede alla sua versione dei fatti (gli individui che l’avevano sequestrato si sono volatilizzati e la domestica della villa finge di non riconoscerlo).

L’uomo con lo stesso nome di colui che si suppone l’avesse rapito è un membro dell’ONU e viene assassinato davanti ai suoi occhi.

Braccato sia dalle forze dell’ordine che lo credono colpevole d’omicidio, sia dai sicari di colui che l’aveva realmente rapito, con nessuno disposto a credergli ed investigare, si vedrà costretto a scoprire da solo chi/cosa si celi dietro il nome Kaplan e durante una fuga in treno, incrocerà il cammino con quello di una misteriosa quanto avvenente ragazza di nome Eva Kendall (agente del controspionaggio).


ANALISI + CONSIDERAZIONI di una Pietra Miliare: correva la fine degli anni ’50 e lentamente ci si stava spingendo verso la nuova frontiera del cinema a colori.


Hitchcock era uno dei cineasti più prolifici e in voga del periodo (sia nella parentesi londinese che in quella americana con produzioni che spaziarono dal muto al sonoro, dal dramma al thrilling), nonché uno di quelli più apprezzati dalla critica per l'invidiabili abilità tecniche e dibscrittura.

Per il suo prossimo progetto, scelse di dare maggior risalto alla dimensione spionistica che tanto l’attraeva e di giocare la carta dell’(auto-)ironia.


Ricontattò Cary Grant (la cui carriera si sarebbe però conclusa a metà anni ‘60), col quale aveva già lavorato a “Caccia al Ladro” (assieme a Grace Kelly) e che ovunque lo si piazzasse faceva una gran figura, e così fu “Intrigo Internazionale”. Anche se il titolo in originale richiamava l’Amleto Shakespear-iano la cui progressiva perdita della ragione soffiava dal Nord a Nord-Ovest.


A differenza di altri però il personaggio di Cary Grant non si lascia divorare dal concatenamento degli eventi e del destino avverso, ma il modo in cui agisce innesca e fa prendere delle direzioni impreviste alle manovre inizialmente ideate per opprimerlo e fa prendere alla storia direzioni improbabili e non scontate.


Il personaggio a sua volte evolve: da persona narcisa e piena di sé a vittima impotente del caso e fuggiasco, ad involontario eroe risolutivo della vicenda e scaltro giocatore. Arrivando ad innamorarsi di una figura tanto enigmatica quale Miss Kendall (una fascinosa e sfaccettata Eva Marie Saint) e a fare di tutto pur di salvarla dal contro-spionaggio alla quale è legata dal dovere e che le potrebbe costare la vita.


Hitchcock dal canto suo dispensa saggi di bravura a perdita d’occhio.


Da una messa in scena elegante e sinuosa, una fotografia dai toni caldi, carrellate, giochi con le inquadrature e la prospettiva, tagli di luce, fino alla resa geometrica degli ambienti esterni e delle costruzioni architettoniche. Trattando il film stesso come una giostra delle emozioni dove può succedere ogni cosa in qualsiasi momento e nulla è come sembra: passando con disinvoltura dall’iper-tensione al divertimento, a momenti più distesi e ad altri più spiazzanti.


E in mezzo a tutti questi giochi di ombre, inganni e raggiri, trova spazio anche un’inaspettata quanto piacevole ventata d’ironia di cui spesso si fa carico il personaggio di Grant (i battibecchi con la svampita figura materna o quando ad un’asta per aver salva la pellaccia fa di tutto per fingersi pazzo e farsi arrestare).


Ad impreziosire ancor di più l’opera troviamo le orchestrazioni essenziali e vigorose (a base di archi e fiati) del maestro Bernard Hermann [qui alla 5^collaborazione con Hitchcock, già al servizio di Orson Welles, Truffaut e più avanti di De Palma e Scorsese].


Ovviamente nulla di ciò che il regista propone ha pretese di realismo, i personaggi compiono persino azioni errate (ma in quanto umani possono sbagliare) eppure tutto è al servizio della narrazione, dell’imprevedibilità del fato e del ragionamento fuori dagli schemi.

La sequenza che meglio potrebbe riassumere la genialità immessa in questo film è proprio quella dell’aereo assassino che insegue il malcapitato protagonista fra le piantagioni e la super-strada (anche se se la giocherebbe con l’inseguimento finale al cardiopalma fra i testoni presidenziali sul Monte Rushmore).


Pur essendo ambientata in pieno giorno, in spazi aperti e venendo imbastita dopo attimi di momentanea quiete con nessun dialogo, è incredibile la carica ansiogena che costruisce e si abbatte. Un minaccia pressoché inesorabile che ci fa sentire impotenti come il protagonista ma che con un po d’astuzia, sangue freddo e pensieri veloci che subito si traducono in azioni, viene scongiurata per il rotto della cuffia.


“Intrigo Internazionale” è un ricco toure-de-force contenente tutto quello che si può chiedere al Cinema di Hitchcock, una summa di tutto ciò che gli piace immettere nei propri film e che alla gente piace trovarci.


C’è la spy-story; ci sono il brivido/la suspense/la tensione/i pericoli; le soluzioni visive si sprecano; ci sono attori con le facce giuste; c’è addirittura maggior ironia rispetto alle sue produzioni abituali; c’è la love-story; la scrittura segue strade imprevedibili, come impensabile eppur azzeccatissima è la risoluzione finale. In pochi dopo di Lui sono stati capaci di realizzare opere così prossime alla perfezione in fatto di scrittura, narrazione, tecnica e personaggi.


Da vedere, rivedere, studiare e preservare.

VOTO: 9+


#Hitchcock #CaryGrant #thriller #anni50


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