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LICORICE PIZZA (2021) - Un brioso ricordo di gioventù e un inno alla vita



A 51 anni compiuti e a 8 pellicole dirette (più vari videoclip) con le quali ha impresso a fuoco la sua ormai iconica firma nel testamento hollywoodiano in 20 anni di onorata carriera, il mai domo Paul Thomas Anderson [Magnolia, Il Petroliere, The Master, Vizio di Forma, Ubriaco d’amore e Boogie Nights] torna con un nuovo prezioso e personalissimo (ma NON autobiografico) progetto che prende proprio il nome da un negozio musicale di cui era un assiduo frequentatore in gioventù: "LICORICE PIZZA".


Sullo sfondo di San Fernando Valley nei ruggenti anni '70, assistiamo alle quotidiane avventure coming-of-age di Gary e Alana: 15 anni e con un passato da baby-attore lui; 25 anni <almeno così dichiara> e assistente fotografa lei. Per 2 ore inoltrate li vediamo flirtare e respingersi, prendersi, lasciarsi, provare a mettersi in società e rincorrersi nuovamente a vicenda.


Come se correre, inciampare, allontanarsi, girovagare, rialzarsi e riprendere a fare ciò che si stava facendo (anche con uno spirito diverso) fosse uno slancio verso l'altra persona, verso il futuro e la vita che verranno. Per quanto irraggiungibile possa essere quel futuro, è proprio un simile percorso a fornire una propulsione in più per volerlo concretizzare.


E quale modo migliore per raggiungerli, fissarli e renderli tangibili se non con un film? Merito della classe, del talento, dello stile e della sensibilità di un regista come P.T. Anderson in grado di rinnovarsi e cambiar generi ad ogni nuovo progetto che affronta. Qui lo fa con una messa in scena al solito avvolgente, attenta ed immersiva, capace di padroneggiare variazioni tonali (anche mediante l'azione) e amplificata da una fotografia (curata sempre dallo stesso) che dona ancor più calore, densità e sogno alle immagini.


Ne viene fuori un intenso e brioso ricordo di giovinezza che non vorremmo finisse mai.

A dir poco perfetti e spontanei sono gli esordienti Cooper Hoffman (figlio del compianto Philip Seymour) e Alana Haim (cantante/chitarrista-tastierista delle Haim), nei panni dei due giovani protagonisti. Lui un eterno ragazzino ottimista, sognatore e talvolta un po' ingenuo che cerca la strada del successo sia con la recitazione che nella rivendita di materassi ad acqua (quando al tempo i prezzi della benzina e dei materiali plastici/sintetici erano alle stelle) per poi aprire una sala giochi, in quanto costretto a diventar grande in fretta in un periodo storico in fermento.


Lei invece è un po' più pragmatica e disillusa della società in cui vive e in un sogno americano che comincia a farsi traballante, vede il cinema più come un business che come una forma d'arte, spesso è in conflitto con i propri familiari (cosa che la rende un'eterna adolescente) e non sempre molto avveduta nelle relazioni che prova ad instaurare (spesso brevi e con soggetti superficiali o che la trattano più come un oggetto che come persona).


Tra tentativi di successo e guadagno, imprevisti, bisticci, riflessioni su ciò che vogliono essere e sul senso del loro atipico rapporto, errori ed incertezze, strade che si dividono per poi ricongiungersi più volte, finiranno per rendersi conto di non poter fare a meno l'uno dell'altra, sia nel sostegno reciproco (professionale e umano) sia come coppia (in quanto alla fin fine sono entrambi immaturi nel profondo e l'amore che il ragazzo prova è sincero, puro ed autentico).


Che poi la cosa sia destinata a durare per sempre non ci è dato saperlo, possiamo solo augurarglielo anche se la cosa non debba per forza piacerci (forse uno dei due avrebbe potuto meritare di meglio o forse niente, forse va bene così). In ogni caso sarà un'avventura straordinaria che vale la pena essere vissuta.


Un gran lavoro viene svolto anche dai personaggi di contorno che donano ancor più colori e sfumature alla narrazione, oltre a rappresentare, assieme ai 2 protagonisti, tutto ciò che identificò il fremito e lo slancio di quegli anni.


Abbiamo un Bradley Cooper felicemente instabile, dissacrante e istrionico nei controversi panni di Jon Peters (produttore cinematografico e acconciatore); un Sean Penn ruspante che pare sbucato fuori da un gangster-movie a fare il divo hollywoodiano spericolato e avezzo all'alcolismo; un sempre fantastico Tom Waits il cui personaggio è talmente surreale che pare preso in prestito da un film di Jim Jarmusch e quel talentuoso filmaker e caratterista ch'è Benny Safdie [co-autore di quelle due perle indi-thriller-drama che sono "Good Times" e "Uncut Gems"] a fare da candidato sindaco celatamente gay.


Ci sono persino i camei del papà di Di Caprio, di Maya Rudolph (compagna di Anderson nella vita reale) e di John C. Reilly.


Impagabile poi la colonna sonora curata da Johnny Greenwood [chitarrista/tastierista dei Radiohead e frequente collaboratore di Anderson] che pennella con dolcezza e sentimento ciò che il regista imprime su celluloide. Per non parlare dell'inclusione di lusso di canzoni d'annata di David Bowie, Chuck Berry, Steve Miller Band, i James Gang, Paul McCartney con i suoi Wings e Sonny Bono con Cher.


Ci troviamo infine di fronte al film più libero, scanzonato e divertito del regista losangelino. Ma anche uno dei più intimi e liberatori, di quelli che a fine visione fa sentire rinvigoriti della stessa voglia di correre a perdifiato verso il domani che per quanto incerto possa essere, vale la pena provare ad afferrarlo e renderlo proprio.


VOTO: 9

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