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The LAST DUEL - (2021) di Ridley Scott

L'ultimo Duello di Dio tra Disperata (e Necessaria) Emancipazione e Strenua Lotta per la Sopravvivenza


TRAMONE: Francia, ultimo ventennio del XIV° secolo durante quella che era la Guerra dei Cent’anni, il cavaliere Jean De Carrouges torna a casa da una campagna bellica in Scozia e la moglie Marguerite de Carrouges gli rivela di essere stata violentata dal miglior amico di costui, lo scudiero Jacques Le Gris che nega quanto testimoniato dalla donna.


Dopo una serie di contrattazioni e richieste, alla fine viene concesso a Jean di sfidare l’ormai ex-amico al Duello di Dio <storicamente l’ultimo che verrà concesso e legittimato dalla legge francese di quei tempi>: un combattimento all’ultimo sangue dove la ragione l’avrà chi sopravvivrà.


Se vincerà ed eliminerà il suo avversario, riabiliterà l’onore della moglie, ma se dovesse perdere e perire nello scontro, ella rischia la pena di morte per aver aver sporto falsa testimonianza, maldicenze e aver tentato adulterio.


ANALISI & CONSIDERAZIONI: A 4 anni di distanza da “Alien Covenant” e “Tutti i Soldi del Mondo”, entrambi non particolarmente fortunati al box-office, e dopo l'inizialmente fortunata mini-serie futuristica “Raised By Wolves”, Ridley Scott torna per la 5^volta ad uno dei generi che più lo appassiona (oltre alla Fantascienza, il Thriller e il Dramma della moderna società): i film epico-storici in costume.


Con al suo fianco Ben Affleck & Matt Damon nelle vesti di sceneggiatori (coadivuati da Nicole Holofcener), sceglie di trasporre sullo schermo una cronaca storica realmente accaduta dove l’epica battagliera lascia spazio alla psicologia dei personaggi, venendo declinata ad un dramma sociale e politico che, dati i tempi che stiamo vivendo, risulta ancora terribilmente attuale.


La cavalleria qui mostrata è totalmente opposta a quella di “Kingdom of Heaven” di 16 anni prima. Essa è una maschera che cela un mondo sporco e squallido, dove il potere e le opinioni che contano sono quelle di uomini rozzi, capricciosi e sempre pronti al conflitto (talvolta impiegati in battaglie che non gli appartengono), il cui agire credono sia illuminato dalla volontà di Dio.


Dove la giustizia, se esiste, è manipolata e malleabile e certi gesti d’intraprendenza potrebbero costare la vita. Ciò che più conta è l’immagine pubblica che si vuole dare alle masse, che di rado corrisponde alla realtà privata e dei fatti. Gli uomini, e chi li governa, più che combattere per proteggere o per qualche buona causa desiderano soprattutto mantenere la propria superiorità o vendicarsi delle offese subite (anche le più piccole), mentre le donne vengono sempre più oggettificate, i torti che subiscono sono più delle onte per i loro consorti, le loro opinioni non contano e se risultano troppo controverse potrebbero condurle ad una fine orrenda.


In mezzo a tutto ciò, il buon vecchio Sir Ridley getta anima e cuore nella vicenda che desidera raccontare e nel difficile periodo nel quale si svolge e si compie. E non manca di dispensare saggi di bravura in fatto di regia immersiva, respiro, messa in scena, direzione degli attori, ricostruzione storica, costruzione della suspense  e del climax.


L’atmosfera è sì sontuosa e permeata da una grandeur epica ma grazie ai toni tendenti al blu della fotografia riusciamo ad avvertire: la cruda ostilità di quel contesto/di quell’ambiente storico; la glacialità della situazione; il senso di chiusura mentale e oppressione che affliggono Marguerite.


L’epica muscolare viene spogliata della sua patinatura per farsi più intima e psicologica, per poi ripresentarsi in tutta la sua potenza in uno dei duelli finali più intensi e animaleschi che si siano visti in tempi recenti. Trasmettendo tutta la pesantezza e la sofferenza di un combattimento, come la palpabilità della tensione e l’angoscia per la sorte della persona messa come posta in palio.


Una grossa mano viene fornita dal sound-design e le eccezionali musiche di Harry Gregson-Williams [già collaboratore di Sir Ridley da “Kingdom of Heaven”, del suo defunto fratello Tony, della saga di “Shrek” e “Metal Gear Solid”, “The Town” di Ben Affleck, “Blackhat” di Mann e “The Equalizer”].


Fra gli interpreti a spiccare più di tutti è sicuramente la brava Jodie Comer (fattasi già apprezzare in “Killing Eve” e “Free Guy”), che, con tragica fierezza di Bergman-iana memoria, dà vita ad una donna forte, intraprendente ed enigmatica quanto sofferente e desiderosa di rivalsa, giustamente in conflitto con la mentalità stoica e retrograda del tempo che vedeva le donne come proprietà alle quali veniva negata ogni ragione e presa di posizione.


Seppur il suo punto di vista e le sue versioni dei fatti possano risultare le più plausibili, fino all’ultimo non siamo mai sicuri dell’autentica veridicità di quanto dichiara. La sua stessa rivendicazione potrebbe risultare troppo rischiosa (se non addirittura insinuare il sospetto di un qualche tentativo di sbarazzarsi di un individuo molesto quale Le Gris) e in più momenti ci verrà lasciato qualche dubbio.


Mentre dal canto loro: Matt Damon nei panni del voluminoso Jean De Carrouges è un cavaliere tanto prode quanto zotico che più che combattere per amore della consorte (donna che ha scelto di sposare più per le doti, per il fascino e per la devozione non per vero amore) lo fa per preservare il proprio onore.


Jacques Le Gris del sempre più bravo Adam Driver è un guerriero valoroso ben voluto dal Conte e dal mondo clericale quanto dissoluto, vizioso, autocompiaciuto e a cui piace millantare una qualche cultura poetica, che crede di essere conteso dalla moglie dell’amico/rivale quando in realtà ella non prova veramente tal sentimento.


Ben Affleck (qui in versione ossigenata e col pizzetto caprino) nei panni del Conte Pierre d’Alençon di nobile ha solo la carica in quanto anch’egli avvezzo a bagordi, depravazioni e lussurie.


Per quasi 2 ore (il tempo restante è dedicato al duello finale, alla sua preparazione, a qualche scena di battaglia e di degrado) di durata veniamo proiettati all’interno di ben 3 punti di vista differenti nel percepire la realtà quotidiana e dei fatti. Ma più che di distorsione si sceglie di ragionare di percezioni, che portano alle illusioni e suggestioni di chi racconta. E và riconosciuto a Scott e al terzetto di sceneggiatori di essere riusciti a raccontare la medesima storia ma da più visioni differenti senza annoiare o far calare l’attenzione.


Merito anche di una costruzione del ritmo che procede in un costante crescendo. Pur essendo ambientato nel passato, i temi e i concetti che veicola risultano ancora radicati nel presente. Specialmente in tempi come questi dove l'oppio dei popoli non è più la religione ma l'intolleranza e le notizie che vengono filtrate, rimaneggiate e proposte da chi fa più comodo che poi le elargisce alle grandi masse, indipendentemente dalla veridicità effettiva ed appurata, finendo per instaurare ancor più dubbi e pericoli.


Tempi dove tutt’ora le donne combattono per i loro diritti e la loro indipendenza nella società e dove gli stessi movimenti che le dovrebbero rappresentare rischiano spesso di esuberare, partire per la tangente e vanificare quanto di sacrosanto avrebbero da professare.


Tutto questo e anche di più è “LAST DUEL”, un affresco di sopravvivenza sofferente che travalica i tempi (come molte pellicole del Nostro), realizzato con maestria da uno dei più grandi cineasti ancora esistenti che a 85 anni suonati non solo non ha alcuna intenzione di ritirarsi (in barba ai detrattori), ma ci ha visto nuovamente lungo su come funzioni la società che viviamo oggi come allora.

VOTO: 9


#RidleyScott #JodieComer #AdamDriver #MattDamon #BenAffleck #Epicstories


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